di Matteo Marcelli
“Acclamiamo tutti gli alberi della foresta davanti al Signore che viene”.
Parte da un versetto del Salmo 96 la riflessione proposta nel 16° seminario di studio sulla custodia del Creato, organizzato ieri a Roma nella sede della Coldiretti e organizzalo dall’Ufficio nazionale Cei per i problemi sociali e il lavoro. Un’occasione per ripensare il ruolo del cristiano come custode della biodiversità e offrire una prospettiva ulteriore al Sinodo sull’Amazzonia convocato dal Papa per ottobre.
L’incontro si è svolto nell’ambito dei Festival dello sviluppo sostenibile di Asvis, perché l’iniziativa “è un contributo di pensiero al Paese – ha dichiarato il direttore dell’Ufficio Cei don Bruno Bignami – e non solo una riflessione interna alla Chiesa”. La direzione è ancora una volta quella tracciare dalla Laudato sì, citata a più riprese nel corso del convegno, e il modello è ancora quello di un’ecologia integrale. Papa Francesco ricorda che la perdita delle foreste implica la perdita di specie e si sofferma in particolare sui bacini fluviali del Congo e dell’Amazzonia – ha continuato Bignami -. Il Pontefice riconosce l’importanza della biodiversità di questi ecosistemi, definita “complessa e quasi impossibile da conoscere completamente”. L’ecologia integrale impone un rapporto tra l’uomo e le creature tutte. La Genesi invita a coltivare e ma anche a custodire”.
Un invito che stenta ancora ad essere raccolto, come ha osservato il portavoce di Asvis, Enrico Giovannini. E non è un caso se lo scenario più probabile disegnato dalla maggior parte della comunità scientifica internazionale racconta di un mondo destinato al collasso entro il 2050. “La storia parlerà di questa generazione come di quella che ha salvato il mondo oppure che ha contribuito alla perdita di tantissime vite umane” – ha avvertito l’ex ministro del Lavoro – il modo in cui consumiamo e produciamo genera benessere ma anche scarti, fisici e umani. La crisi verrà non tanto da questioni ambientali, ma sociali. Il numero delle guerre è al massimo storico, non se ne parla perché si tratta di piccoli conflitti. Dobbiamo essere apostoli di un’utopia sostenibile, è l’unico modo che abbiamo per combattere una visione distopica o peggio retrotopica che ha paura del futuro e vuole tornare indietro.
Ma qual’è lo stato di salute delle nostre foreste? In realtà, come chiarito da Marco Marchetti, docente di scienze forestali all’Università del Molise, le foreste coprono quasi il 40% del territorio nazionale. “Il punto però – ha spiegato Marchetti – è di riuscire a governare questo processo e renderlo sostenibile. L’Italia importa l’80% di legname che una volta lavorato diventa la nostra terza esportazione. Dobbiamo tutelare questa risorsa, ma anche imparare ad utilizzarla”.
La tutela degli ecosistemi, però, non è solo una questione tecnica o economica, e non è sbagliato parlare di una vera e propria teologia della biodiversità. “Il valore in sé di ogni specie sta nell’originalità e nella diversità. La biodiversità è l’ontologia del Creato.” Ogni specie è strutturata in sé e fuori di sé e si relaziona a noi e al Creatore come un originale diverso”, ha osservato padre Gianpaolo Lacerenza, docente della Facoltà teologica pugliese, sottolineando che “il progetto salvifico di Dio non è uno solo per l’uomo. Ma noi abbiamo una precisa responsabilità affidala dal Signore e per questo maggiore”.
Articolo pubblicato sul quotidiano Avvenire del 1 giugno 2019