La direzione: dignità del lavoro e tutela della terra.
di Pino Campisi*
Nel 2015, precisamente il 24 maggio, giorno di Pentecoste, Papa Francesco fa nascere la Laudato Sì, lettera Enciclica sulla cura della casa comune. Iniziai a leggerla a luglio del 2015 e, da subito, dopo le prime pagine, a dire il vero dopo il primo appello, ne rimasi fortemente impressionato, direi conquistato dalla forza trascinante delle parole di Francesco, che spingevano in avanti nell’attenzione alla lettura. Era un ascolto continuo di parole profonde, dense di spiritualità e narrazioni di ferite per un mondo che subiva le aggressività dal nostro dissennato e decadente stile di vita, prevalentemente orientato ad accumulare forme insensate di consumo, senza una strategia atta a difendere il pianta ed il bene comune.
Il punto tredici di Laudato Sì pone una domanda: «La sfida urgente di proteggere la nostra casa comune comprende la preoccupazione di unire tutta la famiglia umana nella ricerca di uno sviluppo sostenibile e integrale, poiché sappiamo che le cose possono cambiare». Segno di allarme e fiducia nel cambiamento e nella scelta responsabile dell’opera dell’uomo. Dal cuore, dal centro di queste parole chiave, assurge, come dire, un pensiero profetico che oggi, più di ieri e di sempre, a nostra memoria, riporta l’uomo contemporaneo non solo a riflettere ma a ripensare il suo essere nel rapporto con la natura, la sua tutela, la protezione della casa comune che è per l’uomo, visto quale «amministratore responsabile» attivo, per tenerla al riparo dalla costante e nevrotica degradazione.
Prima di Papa Francesco, nessuno mai, scienziati o accademici, istituzioni o ambientalisti, era riuscito a suscitare tanta attenzione e tanto allarme intorno alla tutela del creato. La Laudato Si, che prende le mosse a Pentecoste del 2015, è considerata la prima Agenda, una vera piattaforma globale per il confronto sul benessere della terra, destinata ad aprire un dibattito sulle nuove povertà e sulle drammatiche emergenze ambientali del pianeta. Infatti “le Nazioni Unite solo a settembre 2015 hanno approvato l’Agenda Globale per lo sviluppo sostenibile e i relativi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile… da raggiungere entro il 2030”. Possiamo dire che Papa Francesco con la lettera Enciclica ricalca il cammino e le strade di San Francesco d’Assisi per salvare il mondo contemporaneo dalle ferite inquinanti dell’uomo.
Don Massimo Naro, di recente, ha messo in risalto che «nella sua enciclica sociale, Francesco ha messo in luce il concetto e, soprattutto, l’esperienza della “conversione ecologica”, evidenziandone le implicazioni politiche, economiche e culturali e, più a monte, le motivazioni spirituali che interpellano i credenti in quanto cittadini del mondo e abitatori della Terra, “nostra casa comune” (LS 3), condivisa con tutti gli altri esseri umani e con tutti gli altri esseri viventi». L’Enciclica è anche una narrazione altissima che si salda con il Cantico delle creature e rappresenta altresì una energica prima chiamata alla tutela ambientale nel mondo, fortemente ammalato e inquinato nella fauna, nella flora e nella crescente irresponsabilità dell’uomo. Con un netto richiamo a non abbandonarsi alla rincorsa del profitto ed alle illusorie soddisfazioni individuali.
Papa Francesco, nella sua lettera parte dalla tutela della terra e sceglie anche di farci vedere il luogo dove stare, nel rispetto più alto della dignità umana. Il luogo da abitare è quello dove stanno gli ultimi, i poveri, i sofferenti, i dimenticati, gli sfruttati, gli invisibili, i disoccupati, gli immigrati che fuggono dalle guerre, dalla persecuzione e dalla fame. Tutte persone che vengono ricordate a noi ogni santo giorno, dentro i passi delle sue celebrazioni eucaristiche. Il nostro mondo contemporaneo più prossimo, da lungo tempo, si presenta in tutta la sua opulenza, pensando forse di rimuovere se non addirittura dimenticare la grande voragine della povertà assoluta. Il dramma epidemico diffuso, di questi mesi, ci ha certificato che siamo precipitati tutti in un clima di paura, di emarginazione e solitudine, facendo crollare le stesse regole di una normale convivenza sociale. E poi, tutti a dirci che siamo inesorabilmente un niente!
Ed è proprio in piena pandemia che è intervenuto il grande Papa argentino, da sempre a fianco del popolo, ogni giorno nei luoghi della sofferenza. E ci ha fatto capire che non è vero che siamo un niente, dobbiamo invece cambiare i vecchi stili di vita e amare l’uomo, la natura, la vita. Sì, far risorgere la vita nel rispetto per le cose che ci sono state donate, per essere curate e protette. In più, essere solidali, caritatevoli e sentirsi comunità, sentirsi e farsi frontiera[1]. In buona sostanza essere voce e azione degli ultimi. Emarginazione e povertà vengono accostate, in questo tragico periodo di crisi, alla drammatica caduta della produzione e del lavoro e si porta dietro la dignità delle persone.
Emerge ancora più forte il ruolo del lavoro che è centrale, che diventa la forza di una intera comunità nazionale e collettiva. «Il lavoro riguarda direttamente la persona, la sua vita, la sua libertà e la sua felicità. Il valore primario del lavoro è il bene della persona, perché la realizza come tale, con le sue attitudini e le sue capacità intellettive, creative e manuali. Da qui deriva che il lavoro non ha soltanto una finalità economica e di profitto, ma soprattutto una finalità che interessa l’uomo e la sua dignità. La dignità dell’uomo è collegata al lavoro»[1]. La crisi Covid-19, fa aumentare il rischio fallimento di imprese, vengono meno migliaia di posti di lavoro, alcuni servizi e prestazioni essenziali scompaiono: nuovi disoccupati, nuovi poveri, migliaia di persone passano dalla povertà relativa a quella assoluta. Secondo i dati Istat sulla povertà, in Italia vi sono 1,7 milioni di famiglie che rappresentano 4,5 milioni di persone che vivono in condizioni di povertà assoluta.
Ancora una volta, in soccorso, il pensiero libero e chiaro di Francesco, che prende posizione: «…oggi dobbiamo dire no a un’economia dell’esclusione e della iniquità»[2]. Non c’è più tempo da far trascorrere a vuoto. Per noi credenti non può essere rinviato l’impegno richiesto dalla nuova condizione e dalla storia dell’uomo di oggi, che vive questo tempo, rappresentato da un patto sociale spezzato, dove i fragili e gli invisibili vengono abbandonati a se stessi. Tutto questo significa, per noi cristiani impegnati nel sociale e nel pre-politico delle Associazioni o dei Movimenti, assumere impegni di responsabilità ed essere corali nel chiedere alle Istituzioni giustizia e vicinanza per chi rischia di morire di esclusione sociale. Guardando anche alle nuove generazioni che rischiano di entrare, dopo un lungo stato di disoccupazione, nella dimenticanza. Nella Laudato Si il Santo Padre, interroga e ritorna su questo punto: «I giovani esigono da noi un cambiamento. Essi si domandano com’è possibile che si pretenda di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi».
La tematica sul disagio sociale e della diseguaglianza, quindi anche del lavoro e della qualità della vita, sta mobilitando, di recente, anche altre realtà ben organizzate come il Forum Diseguaglianze di Fabrizio Barca e viene messo in luce che «Le persone socialmente più vulnerabili: vivono spesso in territori più inquinati o a rischio idrogeologico senza potersi trasferire in zone migliori; abitano nelle periferie e nell’hinterland…; vivono in luoghi dove il patrimonio di ricchezza comune (beni ambientali, sportivi, culturali, servizi) è degradato; non hanno voce in capitolo sulle decisioni». In tutto questo confronto moderno ed essenziale come non richiamare anche Papa Benedetto XVI che già nel 2009 poneva il problema nella sua Enciclica sociale: «Il tema dello sviluppo è oggi fortemente collegato anche ai doveri che nascono dal rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale. Questo ci è stato donato da Dio a tutti, e il suo uso rappresenta per noi una responsabilità verso i poveri, le generazioni future e l’umanità intera»[3].
Affrontare con coraggio la crisi climatica non è solo necessario ma rappresenta una grande occasione per rendere la nostra economia e la nostra società più a misura d’uomo e per questo più capace di futuro. È una sfida di enorme portata che richiede il contributo delle migliori energie umane, tecnologiche, istituzionali, politiche, sociali, culturali. Il contributo di tutti i mondi economici e produttivi e soprattutto la partecipazione dei cittadini. La sfida della crisi climatica può essere l’occasione per mettere in movimento il nostro Paese in nome di un futuro comune e migliore.
Presidente Regionale La Nuova Frontiera dei Liberi e Forti*
[1] Nessuno resti indietro – Papa Francesco, la dignità del lavoro e l’inclusione sociale – Kairos – 2016
[2] Evangelii gaudium – Esortazione apostolica – Papa Francesco – Edizioni San Paolo – 2013
[2] Caritas in Veritate – Enciclica sociale – Benedetto XVI – Edizioni San Paolo – 2009