<<…..questo ‘cristiano’ che crede, e opera come crede, e parla come sente, e fa come parla; questo ‘intransigente’ della sua religione è pur un modello che può insegnare qualcosa a tutti…..>>
di Giuseppe Sestito
Ricorre in questo mese di luglio il novantaquattresimo anniversario della morte, avvenuta il 4 luglio del 1925 dopo pochi giorni di fulmineo malore, di PIER GIORGIO FRASSATI, figlio di Alfredo Frassati, proprietario di uno dei più diffusi giornali italiani, La Stampa. In seguito, Alfredo Frassati, giolittiano, sarebbe stato nominato Senatore del Regno ed Ambasciatore d’Italia a Berlino.
Il giovane Pier Giorgio, ventiquattrenne, studente universitario in ingegneria al Politecnico di Torino, abile alpinista e sciatore, era terziario domenicano, membro della FUCI e dell’Azione Cattolica Italiana.
Nei decenni successivi alla sua morte, e fino ai giorni nostri, Pier Giorgio Frassati ha rappresentato per i giovani cattolici, non solo italiani, il simbolo della fede cristiana che s’incarna. Una fede che egli professava senza alcun timore reverenziale e che viveva con coerenza tra la fedeltà ai principi ed agli ideali in cui credeva ed il suo modo pratico e quotidiano con cui realizzava i suoi progetti di vita, di carità e di amore.
A lui, la Gioventù italiana di azione cattolica (GIAC) e la Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI) avrebbero intestato, negli anni successivi alla sua morte, molti delle migliaia dei loro circoli sparsi per l’Italia.
E’ stato proclamato beato nel 1990 da Papa Giovanni Paolo II ed oggi ne voglio ricordare l’anniversario della immatura scomparsa riportando ciò che di lui scrisse, all’indomani della morte, non un giornale cattolico, ma un non-credente, Filippo Turati leader dei socialisti riformisti italiani sul giornale socialista di Milano, ‘La Giustizia’.
Era veramente un uomo quel Pier Giorgio Frassati che la morte a 24 anni, ghermì crudelmente, veloce come un ladro frettoloso. Ciò che si legge di lui è così nuovo ed insolito, che riempie di riverente stupore anche ci non divide la sua fede. Giovane e ricco, aveva scelto per sé il lavoro e la bontà. Credente in Dio, confessava la sua fede con aperta manifestazione di culto, concependola come una milizia, come una divisa che s’indossa in faccia al mondo, senza mutarla mai con l’abito consueto, per comodità, per opportunismo, per rispetto umano.
Convintamente cattolico, e socio della gioventù cattolica della sua città, disfidava i facili scherni degli scettici, dei volgari, dei mediocri, partecipando alle cerimonie religiose, facendo corteo al baldacchino dell’Arcivescovo in circostanze solenni.
Quando tutto ciò è manifestazione tranquilla e ferma del proprio convincimento e non esibizione ostentata per altri scopi, è bello e onorevole. Ma come si distingue la ‘confessione’ dall’affettazione?
Ecco. La vita è il paragone delle parole e degli atti esteriori che valgono poco più delle parole. Quel giovane cattolico era anzitutto un cristiano e traduceva le sue opinioni mistiche in vive opere di bontà umana in atti costanti di pietà.
Si può valutare diversamente l’efficacia sociale della carità, ma non si può disconoscerne il pregio, quando essa è esercitata con cuore puro, non come narcotico o un diversivo o un preventivo, ma come un’assistenza immediata alla sventura, senza altri filtri o secondi fini che l’espressione d’un dovere sinceramente sentito e d’un amore fraterno.
Questo giovane laureando in ingegneria, che non aveva la rigida visione della conquista e lo sguardo – così diffuso tra i fortunati della vita! – del falco che spicca il volo alla rapina, ma l’occhio sereno e dolce dell’uomo che si sente accoratamente fratello agli altri uomini, ai più miseri ed infelici, è pur un’eccezione che va segnata e fermata nel passar vertiginoso della cronaca quotidiana.
Ed era sano di spirito e valido d’animo e di corpo, amava il moto e i monti alti e la forza, strumento non di prepotenza ma di giustizia, e di difesa del diritto, e, quando la sopraffazione violenta entrò in casa sua, egli la respinse, virilmente gagliardo.
Tra l’odio, la superbia e lo spirito di dominio e di preda, questo ‘cristiano’ che crede, e opera come crede, e parla come sente, e fa come parla; questo ‘intransigente’ della sua religione è pur un modello che può insegnare qualcosa a tutti.