A cura di Domenico Marino*
L’idea che l’economia sia popolata da agenti che mirano solo al raggiungimento della massima utilità individuale è stata per molto tempo il paradigma fondamentale della scienza economica. Studi anche empiricamente consolidati, denotano però la debolezza di quegli approcci che si fondano su postulati di perfetta razionalità, di massimizzazione dell’utilità individuale e su meccanismi di accumulazione di capitale. Questo riduzionismo antropologico, il cosiddetto homo economicus, che Amartya Sen chiama il «folle razionale», è del tutto incapace di spiegare le molteplici componenti della natura umana.
Infatti, l’individuo sceglie e agisce sulla base della costruzione di una mediazione d’oggetto. La sfera della scelta ha certamente una componente razionale ed è legata alla salute, al genere all’età di ciascun individuo. Essa è certamente condizionata da una dimensione psico-sociale (bisogni, credenze – ciò che appare realistico possa attuarsi) e da una dimensione psicologica che si costruisce attorno a quel non equilibrio dinamico e tutto personale che oscilla fra i desideri e le paure di ciascuna persona. Il peso, però, che ciascun individuo attribuisce a paure e desideri, aspettative e bisogni dipende fortemente dalla propria condizione. Componenti personali di tipo psicologico non possono non essere tenute in seria considerazione nel micro-fondare paradigmi economico-sociali.
Il peso che ciascuna persona dà a bisogni e paure rispetto all’aspettativa reale di uscire, per esempio, dalle condizioni di povertà, di dipendenza, di deprivazione o comunque rispetto alla possibilità reale di far convergere le aspettative concrete verso i propri desideri dipende dal paesaggio urbano ed umano dentro cui vive; dipende, quindi, dalla estetica del proprio territorio vitale e dalla lettura che ciascuna persona fa della rete relazionale dei suoi primi vicini e dei suoi principali stakeholders (istituzionali e non) con cui interagisce, dal microclima fisico e relazionale dentro cui vive. Se uno dei nostri scopi è, dunque, quello di capire le possibilità reali che ciascuna persona ha di perseguire e realizzare i propri obiettivi si deve tener conto non solo dei beni principali da essa in possesso, ma anche delle caratteristiche personali e relazionali che governano i processi di conversione dei beni principali in capacità di promuovere i propri scopi (in tale prospettiva, per esempio, una persona anziana o disabile o cagionevole di salute può essere svantaggiata anche con un pacchetto di beni principali più consistente rispetto ad una persona giovane e fisicamente sana).
Sono molteplici gli elementi che influenzano il rapporto fra reddito, benessere e libertà. La personalizzazione delle politiche appare una opzione strategica assolutamente necessaria. A tale proposito ricordiamo che Sen definisce funzionamento ciò che una persona può desiderare, ciò a cui una persona dà valore (dall’essere nutrito, all’essere curato, dal bisogno di partecipare a quello di socializzare, ecc.) e capabilities l’insieme delle combinazioni alternative di funzionamenti che ciascuna persona è in grado di realizzare. Le “capacitazioni” sono dunque una sorta di libertà sostanziale, libertà di mettere in atto più stili di vita alternativi. L’espansione delle libertà reali è dunque il fine, ma anche il mezzo dello sviluppo.
Papa Francesco nell’Evangelii Gaudium riprende e traduce in concreto questi concetti: «Abbiamo creato nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro ha trovato una nuova e spietata versione nel feticismo del denaro e nella dittatura di una economia senza volto e senza uno scopo veramente umano. La crisi mondiale che investe la finanza e l’economia manifesta i propri squilibri e, soprattutto, la grave mancanza di un orientamento antropologico che riduce l’essere umano ad uno solo dei suoi bisogni: il consumo. Mentre i guadagni di pochi crescono esponenzialmente, quelli della maggioranza si collocano sempre più distanti dal benessere di questa minoranza felice. Tale squilibrio procede da ideologie che difendono l’autonomia assoluta dei mercati e la speculazione finanziaria. Perciò negano il diritto di controllo degli Stati, incaricati di vigilare per la tutela del bene comune. Si instaura una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone, in modo unilaterale e implacabile, le sue leggi e le sue regole. Inoltre, il debito e i suoi interessi allontanano i Paesi dalle possibilità praticabili della loro economia e i cittadini dal loro reale potere d’acquisto. No a un denaro che governa invece di servire».
* in collaborazione con Gaetano Giunta
Articolo dell’8 dicembre 2019 pubblicato a pag. 9 dell’Avvenire di Calabria